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UNA CARBONARA COI SENZA TETTO


LUCIA. La mia esperienza di volontariato comincia circa cinque anni fa, quando decido di affiancare mio papà che da diversi anni presta servizio alla mensa parrocchiale per i senza fissa dimora, collegati con la comunità di San Marcellino a Genova. Allora il mio contributo si limitava a dare una mano nel preparare la tavola, sparecchiare, ripulire, e non vi davo troppo peso. Il valore ho cominciato ad intuirlo nel momento in cui mi è stato proposto di cominciare a prestare questo servizio in maniera autonoma, staccandomi da mio papà e provando magari a coinvolgere qualche altro giovane come me. Per un periodo sono andata con il mio ragazzo di allora, poi con mia sorella o con un altro amico, e pian piano ho acquistato sicurezza e voglia di spendermi, cercando nel mio piccolissimo di creare un legame con le persone che avevo intorno. Ho cominciato quindi a preparare da sola i pasti, imparando a gestire tempi e relazioni senza l’appoggio di una “spalla”. A quel punto c’è stato uno scatto importante per me, per il modo di vivermi questa esperienza. E’ stata una molla di crescita importante, un incentivo a responsabilizzarmi e a imparare anche a buttarmi nelle situazioni, io che solitamente faccio molta fatica a gestire qualcosa, senza avere qualcuno a cui chiedere se ciò che faccio vada bene o male. A chi non ha mai provato un’esperienza del genere potrebbe sembrare anche una cosa banale: preparare un pasto per sei persone, lavare i piatti e chiudersi la porta alle spalle. In parte può anche esserlo ovviamente. Però è anche vero che in queste situazioni bisogna imparare a saper stare e condividere parte di sé in maniera coerente all ambiente in cui ci si trova. Le persone con cui si trascorrono le due ore del pranzo sono molto diverse da me, per vissuto, per provenienza, per carattere, per età e sesso. Il fatto di aver cominciato a fare questo servizio senza viverlo e pensarlo come vero e proprio volontariato credo mi abbia in parte anche aiutata nell’incontro con gli ospiti. Dal mio punto di vista, per vissuto personale probabilmente, confrontarsi con situazioni di questo tipo considerando le persone a cui si offre un servizio come “utenti” rischia di limitare l’incontro e il legame che, anche solo in minima parte, va creandosi. A volte mi sono trovata in difficoltà nel momento in cui ho dovuto far rispettare qualcuna delle poche e semplici regole che vigono nella mensa, e questo perché sono una ragazza di 22 anni, non ho apparentemente nessuna autorità di fronte a cinque/sei adulti di più di 40 anni. Ho dovuto imparare anche questo, e lo sto imparando tutt’ora. Vero è che da semplice e saltuaria attività è diventata parte dei miei impegni fissi, e ciò mi ha offerto l’occasione di impegnarmi in qualcosa che non avevo neanche mai pensato potesse interessarmi e che invece adesso so essere una cosa preziosa. Io sono Lucia, non sono qualificata per fare quello che faccio, non faccio volontariato per una spinta filantropica che mi ribolle nell’anima o perché credo che preparare una pastasciutta alla carbonara cambierà il mondo. Ho cominciato senza pensarci molto e continuo perché è diventato parte del mio quotidiano.

LUCA Piu che volontariato, lo chiamerei servizio…. Mi metto a servizio di qualcun altro, perché a suo tempo qualcuno si è messo al mio servizio, o, più semplicemente, perché posso. La mia ultima esperienza è nella mensa per i senza tetto di San Rocco di Principe, che ospita ogni giorno 5 persone per pranzo. Cinque persone sembrano poche, ma l’intenzione è quella di ricreare un ambiente familiare e confortevole. Molti sono gli ospiti che si sono alternati, ma tutti sono rimasti il tempo sufficiente per poter creare un legame, seppur superficiale. Essendo il mio un carattere introverso, di solito non parlo molto: tuttavia pranzando insieme si chiacchiera, e una delle cose che mi ha più colpito, è l’attenzione che essi danno alla relazione, che nel mio caso spesso è silenziosa, ma trasmette comunque fiducia e sincerità. Ogni volta mi chiedono come procedono i miei studi, o le altre cose che faccio, e…ciò non è per niente scontato. Agli inizi ho avuto timore del “muro”. Non so, forse per la mia giovane età inconsciamente pensavo, e mi comportavo di conseguenza, come se le persone che avevo davanti fossero da sempre senza tetto, come se da sempre avessero avuto una vita nel disagio piu profondo. Invece, dopo pochi mesi, ho incontrato due fratelli che, saputo che frequento Ingegneria, hanno iniziato a farmi un sacco di domande di matematica e fisica, andando molto nello specifico. Da questa, ed altre cose, ho realizzato che anche loro hanno avuto una (precedente) vita “normale”, e che successivamente hanno impattato in improvvise e pesantissime difficoltà..che io spero di non dover mai affrontare. Perchè a tutti può capitare un ribaltamento esistenziale. Dall’avere un tetto al non avercelo piu. E il loro essere ancora qui, nonostante tutto, dimostra la tenacia, e la volontà a non arrendersi.

Per entrare a far parte della mensa bisogna rispettare alcune regole, tra queste appunto la volontà di rialzarsi e ritornare ad una vita normale, e in certe condizioni non è per niente facile. Dunque per me l’impegno piu importante è quello di provare a trasmettere fiducia e positività. Ci metto tutta la mia buona volontà, ma non si sa mai quale situazione ti trovi davanti, e quanto rischi di ferire sensibilità. C’è chi è più introverso, chi più espansivo, chi ha accettato pienamente la sua condizione, almeno apparentemente, e chi se ne vergogna. Chi nonostante tutto è sempre gentile e amichevole, chi ti aiuta ad apparecchiare.. attenzioni che non tutti hanno. Una volta che inizi ad entrare in questo mondo, non puoi rimanere “all’esterno”, non puoi solo restare a guardare. Non puoi offrire un servizio, sottovalutando la componente umana. Mi è capitato di chiedermi se davvero avessi la forza per continuare. Perché questo servizio non deve diventare una routine; serve costante motivazione, serve la volontà di farsi carico di problemi che non potremo mai risolvere,perché vanno al di là delle nostre azioni. Ma la nostra presenza può cambiare le cose, almeno per qualcuno.

Non è semplice entrare in contatto con certe condizioni umane, e poi tornare alla propria vita come se niente fosse. Ciò non è piu possibile. Impercettibilmente, ma ti cambiano totalmente le priorità. Qualche mese fa è mancato uno degli ospiti, e sono andato al funerale. Non so perché, ma nella mia testa mi aspettavo un approccio rassegnato. Non mi sembrava una novità che un senza tetto morisse, è una cosa a cui la società ci abitua. È stato uno dei funerali più sentiti al quale abbia partecipato negli ultimi anni. E questo mi ha fatto molto riflettere sul fatto che il valore della vita è lo stesso per tutti, nonostante il pensiero comune sia diverso. Non posso risolvere i problemi del mondo, ma posso aiutare qualche persona ogni giorno, anche solo con la mia presenza, con un sorriso, con un po' di umanità, è questo che mi motiva quotidianamente.

La fotografia è presa dal sito dell'Associazione San Marcellino che ha sede a Genova in piazza Bandiera 3

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