VA' DOVE TI PORTA IL MULO

testo di Francesco La Spina
Passo dopo passo ho imparato, nel corso degli anni, ad apprezzare qualunque tracciato, anche il più apparentemente noioso, umido o fangoso, chiuso nel bosco.... Sono rimasto sempre affascinato dagli itinerari montani, con la costante curiosità di prendere una cartina e di ritrovare il tracciato, seguirne le curve di livello, leggere i nomi geografici, individuare i nuclei abitativi. Immergermi in questa realtà storica e culturale, che ogni volta vedo dimenticata o disprezzata (nei sentieri mal curati, nei segnavia sbiaditi, nella cartellonistica abbandonata agli eventi) mi fa provare dispiacere, come se perdessi qualcosa di prezioso. Esagerazioni? ..... un sentiero per me resta sempre qualcosa di vivo e vitale, una traccia da seguire.... E quindi da salvaguardare, o da aiutare a farlo. Parlo subito dell'ultima opera di salvaguardia dei sentieri che si trasforma nella festa di Montoggio che si terrà sabato 1 giugno, una giornata dedicata alla bellezza del territorio, non dimenticando il passato. Ho partecipato anche io come volontario del forum di escursionisti di Quotazero alla realizzazione di questa riscoperta .Il via a due passeggiate, con partecipazione gratuita con accompagnatori esperti, una puntando verso San Rocco e il Castello dei Fieschi, la seconda piu impegnativa che porterà a Casa Teitin sul crinale della Val Noci lungo il Sentiero della Resistenza QZ4. E poi un pomeriggio di racconti e testimonianze.
Vi parlo dell'inizio della mia personale passione per l’escursionismo. Era il 1972 e la Fie organizzò la prima delle marce non competitive che avrebbero caratterizzato il decennio in Liguria. Chissà se tra chi legge c’è qualcuno dei partecipanti a quella Righi-Busalla, lontanissimo embrione della Rigantoca, visto che di essa seguiva l’identico percorso fino alle Case Sella, per poi imboccare l’Alta Via. A causa di calzature leggere e inadatte andò a finire male con un piede mezzo distrutto, ma la mia avventura cominciò comunque
Stringi i denti e vai. Cominciai a dirmelo da allora. Sul “muro” di Avosso piuttosto che nella ripida discesa finale, nell’interminabile bosco del Monte Liprando o tra i faggi sotto il Cremado. O ancora cuocendo sotto il sole lungo la Costa della Gallina, dove, anno dopo anno, poco prima di approdare al rifornimento della Cappelletta del Colletto, notavo un simbolo, il cerchio giallo barrato, che improvvisamente si aggiungeva al doppio quadrato giallo per accompagnarlo brevemente fino ai Bucci. Guardando sulla guida avevo visto che era il segnavia del sentiero che giungeva dalla lontanissima Nenno: 8 ore di percorrenza, tempo record fra i tanti percorsi descritti nel libretto della Federazione Italiana Escursionismo.
E dentro di me cercando di capire dove potesse passare in quel mare verde che ricopre il Vallone dell’Orso, quel tracciato ha fatto breccia. Finché, siamo nel 2009, decisi di prendermi una giornata e andare a percorrerlo. 'E stata l’occasione per cominciare a vivere un sentiero, e poi tutti i sentieri che ho percorso, in un’altra dimensione, quella del recupero, della risistemazione, della lotta all’abbandono.
. Sempre, e so di non essere il solo, ogni volta che seguo un tracciato, sicuramente solitario nel giro di chilometri, cerco di figurarmi nella mente l’epoca in cui, su quelle pietre, su quell’erba, accanto ai muretti a secco o alle pietre messe a taglio ancora in piedi, passavano ogni giorno tante persone, dai contadini ai mulattieri, dalle lavanderine dirette ai ruscelli ai venditori di abiti che andavano a proporre la loro mercanzia a persone che per molto tempo (alcuni addirittura mai) sarebbero scese a valle. L’evoluzione storica e le trasformazioni sociali hanno cancellato la presenza umana, ma perchè perdere quella traccia e cancellarla dall’immaginazione?
La prima volta che, partito da Nenno e superata la franetta dopo Caserza, oltre il terzo ramo affluente del Rio della Scabbia, mi sono ritrovato nel nulla l’impotenza stava per entrare dentro di me. Un intrico di rami e foglie, la mulattiera che si perdeva tra muretti sbriciolati e precipitati verso il fondo del ruscello, il segnavia sparito improvvisamente e irrintracciabile dovunque guardassi. Provo a scendere nel rio, chissà che non lo riveda un po’ più in là... Torno indietro e decido di prendere quota sul costone: testa bassa e via tra rovi e arbustelli, zigzagando a seguire qualche traccia di animale, nella cappa umida di metà giornata che ti avvolge come in un sudario.
Sbuco su una piccola radura, vedo un sentierino che ne parte e alla fine incrocio la mulattiera che poi scoprirò essere quella che dalla cappelletta della Madonna, sul crinale, scende a Clavarezza. Poco più in là un traliccio dell’alta tensione diverrà un primo punto di riferimento. Prendo allora una decisione, che poi segnerà il mio “hobby” degli ultimi anni: devo ripristinare quel tracciato, fossi anche il solo che passa da quelle parti. Una settimana dopo rieccomi sul posto, con la intenzione di tagliare qualche pianta e creare un passaggio più evidente sino alla radura e al traliccio. Mi guardo intorno e, una decina di metri sopra di me, gli occhi trovano un cerchio giallo barrato. Mi inerpico e lo raggiungo: è una tavoletta metallica, ultimo sopravvissuto segnavia della già defunta Comunità montana alta Valle Scrivia. Ne cerco altri: non è facile, ma uno dopo l’altro li ritrovo, semicancellati o sommersi dalla vegetazione, lungo una traccia strettissima che porta a un pratone oltre al quale finalmente spuntano le case di Clavarezza. Ce l’ho fatta.
Quel giorno inizia il bello: decine di puntate in zona, prima con il falcetto, poi col decespugliatore. Fino ad avere bene impresso un itinerario per poi cominciare a ridipingere i segnavia e, nei punti intricati, metterli con più evidenza, in alto sugli alberi. Sistemata la zona della Scabbia ho ripetuto la stessa operazione tra Caselline e Pareto, salendo al monte omonimo, traversando Pian dei Curli. E ancora dopo Tonno e verso Piancassina.
Tante e tante volte a combattere le liane invadenti, a spostare i tronchi caduti, a indicare una linea di transito ideale sui guadi sconvolti dalle piene improvvise. Sono trascorsi anni prima di poter dire “ce l’ho fatta”, constatando passo dopo passo, percorribilità e chiarezza delle indicazioni, lungo i 20 chilometri del percorso Così, ad esempio, sull’Alpesisa e sul Monte Lago, per i 1217 scalini che portano a Canate, per i sentieri che da Prato e da Paravagna convergono sul Monte Candelozzo. Approdando a un passaggio successivo: dal ripristino alla creazione ex-novo. Come per l’itinerario che congiunge la vetta del Monte Candelozzo a quella del Monte Bano, passando lungo il crinale tra Val Noci e Valle Scrivia, riscoprendo Campoveneroso, Teitin, Brugosecco; come per il Montoggio-Monte Liprando, rettificato e rinominato, ricordando una leggenda, “sentiero di Sant’Agostino”, realizzato insieme a Paolo, un giovane della Val Brevenna, appassionato di storia e cultura territoriale.
Ci siamo incontrati sul sito quotazero.com, piazza virtuale di tutti coloro che vogliono informarsi e raccontare il proprio rapporto con l’ambiente, vissuto camminando, scalando o praticando sport a contatto con la natura..
Dunque 1 giugno alla Festa dei sentieri di Montoggio che leggete su quotazero.com e organizzata dalla Pro Loco di Montoggio dal Comune e da noi volontari. Dopo le due passeggiate mattutine nel pomeriggio dalle 16 presso il Centro Polivalente, dove video testimonianze racconti daranno vita all'incontro dal titolo "Va' dove ti porta il mulo"
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