I BIMBI GENOVESI DEL RWANDA

di Fulvio Bertamini
Voglio raccontarvi di Giorgio Lucigrai, indimenticato pediatra genovese di immensa generosità, mentre in questi giorni , in aiuto di quei bambini altrimenti piu soli, è sbarcata in Rwanda la trentaquattresima missione di medici genovesi Per continuare il lavoro di Giorgio. Ch era un pezzo d’uomo con due occhi azzurri profondissimi. Ti guardava serio e ti diceva: “Qui bisogna fare qualcosa”. Ogni problema, ogni ostacolo nella realizzazione di un progetto, lo affrontava così. “Bisogna fare qualcosa” significava che non era possibile adagiarsi. Intanto, che cosa possiamo fare di più, noi, per il Rwanda? Congetturava. Bofonchiava. E alla fine trovava una soluzione, o quantomeno tentava una strada. Intendiamoci: Giorgio miracoli mica ne faceva. Però credo non sia sbagliato dire che ogni minuto del suo tempo libero lo dedicava ai suoi bambini lontani,nella missione di Gatare. Come se non ne avesse abbastanza, di bambini. Lui che di mestiere faceva il pediatra radiologo all'istituto Gaslini a Genova. Un lavoro molto difficile, perché attraverso i raggi x spesso arrivano le sentenze. Ma Giorgio era così. Una locomotiva sempre in moto....
Chissà dov’è ora, Giorgio. Forse è tornato a casa, lassù a Gatare, fra quelle colline verdissime e gli eucalipti, in quella inattesa Umbria d’Africa. Così aveva detto, l’unica volta che l’avevamo accompagnato in una missione in Rwanda. Era sceso dal fuoristrada dopo il solito percorso di ore, su piste accidentate, in mezzo alla polvere e al fango, ai bordi dei quali l’Africa cammina cammina senza fermarsi mai. Aveva tirato un sospiro e poi aveva commentato, quasi fra sé e sé: “Finalmente a casa!”.
Giorgio Lucigrai è mancato nel luglio scorso. Se l’è portato via un infarto. Quel suo cuore grande non ce l’ha fatta a tenere tutto dentro. La sua scomparsa ha privato l'associazione Komera Rwanda del suo Maradona. Un fuoriclasse che viveva per escogitare sempre nuove forme di finanziamento per Gatare, Butare e le altre missioni in cui l’onlus è impegnata. Komera nella lingua locale significa: “Coraggio”. E ce n’è voluto, di coraggio, per tirarsi su da un genocidio che si è portato via un milione di persone. Hutu e Tutsi, la storia è nota. E tirarsi su non è il termine esatto per definire la realtà ruandese, dove la povertà e le malattie endemiche non sono certo state debellate. Neanche la pace è sigillata, tutt’altro. I memoriali del genocidio sono agghiaccianti. Montagne di teschi e femori impilati. Cadaveri ripescati dalle fosse comuni completamente calcinati, gettati su tavolacci, alla mercè degli sguardi inorriditi dei visitatori. Poveri stracci cui viene negata anche una pietosa sepoltura. Messaggi chiari per dire: non vogliamo che l’odio finisca. E oggi il governo di Paul Kagame vive su quella brace ardente. Pugno di ferro e nessuna concessione ai nemici, veri o presunti. Chissà se è mai finita, in Rwanda. Chissà quando finirà davvero.
Il nucleo originario di Komera è formato da medici e infermieri del Gaslini. Che però, come ente, non c’entra nulla. All’onlus, via via, hanno aderito professionisti di tutta la città. Komera agisce in due modi prevalenti. Raccogliendo finanziamenti per i progetti attivi in Rwanda e anche in Kenya. Interventi tecnici, agricoli, sociali e sanitari a favore dei più poveri. E organizzando spedizioni mediche: 33, sinora. Cui partecipano specialisti che non solo lavorano gratuitamente, ma pagano in proprio anche le spese di viaggio e soggiorno. Li abbiamo visti con i nostri occhi consegnare i denari alle suorine. Dei veri volontari, insomma. Che prestano la loro opera nel Centro di sanità Rugege, a Gatare, gestita dalle suore Figlie del Divino Zelo. Lì promuovono anche la formazione del personale medico locale.
Gatare è un po’ la seconda casa di tutta Komera, non solo di Giorgio Lucigrai. Qui le Figlie del Divino Zelo garantiscono due pasti caldi al giorno e l’istruzione a centinaia di bimbi in età prescolare e scolare. Li abbiamo visti, all’alba e al tramonto, attraversare villaggi e foreste, spesso scalzi, accompagnati da qualche fratellino più grande, per raggiungere la missione. I genitori, se non possono contribuire con una cifra simbolica al loro sostentamento, si sdebitano prestando qualche ora di lavoro nelle cucine o nelle aule. Fanno le pulizie, pelano carote e patate, cucinano le zuppe: cose così. I bambini cominciano la giornata facendo un po’ di esercizio fisico in cortile e cantando inni. Poi, ordinatissimi, prendono posto in aula. Fanno colazione e poi pranzano. Imparano e giocano. Hanno l’aria allegra e la simpatia contagiosa di tutti i bambini.
Il testimone di Komera è passato da Lucigrai, che dell’onlus era presidente, a Enrico Mantero. Che è un altro personaggio più che speciale. Medico infettivologo di fama, ora in pensione, è fra i fondatori della onlus. È lui ad aggiornarci sui progetti in corso a Gatare, a Butare – in un’altra missione delle Figlie del Divino Zelo – e in Kenya.
A Gatare è stata consegnata a suor Marie Thérèse, superiora della missione, una nuova ambulanza. Che Komera ha potuto donare grazie al sostegno dei suoi amici. Utilizzata nel Centro di sanità, che serve un bacino d'utenza di 20 mila persone.
. A Gatare è in ballo anche un progetto di itticoltura di tilapia, il più popolare fra i pesci d’acqua dolce di quella regione africana. E una stalla sociale che ospiterà le mucche di tutta la comunità. Si sta ripristando l’acquedotto, si è deciso di finanziare un piccolo allevamento di capre, polli e maialini. A Butare, invece, sotto la guida energica e gioiosa di suor Giampaola, una pugliese d’Africa sorretta da una fede ferrea, l'obiettivo è implementare le coltivazioni di piante utili come l'amaranto, ricco di ferro e altri preziosi nutrienti.
IN Kenya Komera aiuta le ragazze di strada dello slum di Mathare Valley, a Nairobi. E ha organizzato una scuola mamme — con corsi di lingua inglese — all’interno del campo profughi di Kakuma, nella regione del Turkana. Un vero inferno, dove sono ammassate 190 mila persone in fuga dalla guerra o dalla miseria più nera. Profughi provenienti da Congo, Sud Sudan, Eritrea, Burundi, Somalia. "Per le donne, imparare l’inglese significa poter avere una chance, domani, di abbandonare questa realtà", spiega Mantero.
Le attività sono svolte in collaborazione con le suore missionarie di Père de Foucauld. Altri interventi sono in corso presso i dispensari St. Joseph Mukasa, alla periferia della capitale, e Nthagaiya (Mount Kenya), assieme alle suore Elisabettine Francescane. Sempre alla periferia di Nairobi, in un grande centro sanitario, sta partendo un progetto di formazione medico-pediatrica per gli operatori locali. E un'altra iniziativa in rampa di lancio riguarda la prevenzione dell'insufficienza renale nei bimbi con spina bifida, presso la Disabled Children Home di Ol'Kalou, gestito assieme alle Piccole Figlie di San Giuseppe.
Tanta carne al fuoco per una piccola onlus. Però, come direbbe Giorgio, bisogna fare qualcosa.
E sarebbe felice di sapere che in questi giorni è arrivata in Rwanda la squadra di volontari genovesi di Komera guidati dal cardiochirurgo Giuseppe Cervo.
Per aiutare Komera tutte le info sul sito: www.komerarwanda.org. Da cui è tratta questa fotografia scattata al momento della partenza della missione nel marzo del 2017 con al centro Giorgio Lucigrai mancato poco dopo