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I NOBILI GENOVESI DI NOME MAOMETTO


testo di Stefano Villa

Maometto II, il sultano ottomano, nel 1473 scrive in genovese per annunciare ai governanti di Chio, colonia della Superba, la sua vittoria contro il signore turcomanno Uzun Hasan. E ancora prima dove, se non a Genova?, porta fondamentale fra Mediterraneo ed Europa, Oriente e Occidente si potevano trovare patrizi di illustri casate con lo stesso nome del profeta dell’Islam? “L’Oriente qui non è mai stato solo contrapposizione, ma anche vicinanza e questa è l’unica città in cui nel 1200 c’erano famiglie nobili che chiamavano un figlio Maometto: è il caso ad esempio di Nicolò Maometto Spinola, ma ci sono anche Tartarino Salvago, Saladino Doria o Turco Lercari” racconta Giustina Olgiati che incontro all’Archivio di Stato di Genova dove cura e organizza tante iniziative e mostre per valorizzare questo scrigno di documenti rari e originali che custodiscono il Dna storico, culturale e sociale dei genovesi.

L’antico nome Ianua, porta, dice molto sulla vocazione di Genova come centro di attrazione per chiunque volesse venirvi a vivere e lavorare in pace e proprio i costanti rapporti e scambi fra popoli ed etnie nella Superba e in tutti i suoi territori definiscono (e ci ricordano) l’identità della città e il suo spirito più profondo. “Genova era estremamente multietnica – dice Giustina Olgiati – e nel 1291 erano così tanti gli stranieri che l’annalista Jacopo Doria non si accorse nemmeno che in città c’era un’ambasceria mongola guidata da Buscarello Ghisolfi e destinata a proseguire per l’Inghilterra per proporre alleanze contro i Turchi.”

Uomini di ogni provenienza arrivano a Genova, attratti dalle sue possibilità di sviluppo, ma anche dalla tolleranza culturale che incoraggiava molti tipi di immigrazione: “Genova aveva bisogno – spiega Giustina Olgiati – di marinai per le navi, dei caravana per il porto, di maestranze specializzate dall’edilizia alla tessitura della seta, di medici, giuristi, artisti, insegnanti e per attrarli offriva anche privilegi, come l’esenzione totale dalle tasse per decenni”. Così i caravana arrivavano dalla lombarda Val Brembana, molti marinai esperti dalle isole greche o dalla penisola iberica e le maestranze per la cattedrale di San Lorenzo da Bisanzio e dalle valli del Reno, sotto la guida dei Magistri Antelami lombardi.

Genova attira anche le più grandi compagnie mercantili e finanziarie: è il caso, fra gli altri, della Magna Societas Alemannorum di Ravensburg, colosso mercantile tedesco che dalla prima metà del ‘400 inserisce Genova nella sua vastissima rete commerciale e nella Superba si smistano così rame, argento, ottone, filo di ferro, panni dei principali centri tessili europei, tele tedesche, lana aragonese, riso, frutta secca, zafferano, cuoio, zucchero raffinato, pellami. Qualche decennio dopo alla gigantesca società tedesca se ne accompagnano altre di Norimberga che collegano Genova con Cracovia, Leopoli e Anversa aggiungendo ai traffici anche pellicce, cera e grana, il colorante rosso (cremisium) della Polonia, richiestissimo per le vesti di lusso.

Decisivo è anche, per i giovani patrizi genovesi, il ruolo degli insegnanti che arrivano soprattutto dalla Lombardia e dal Piemonte. La scuola è privata e si impara a leggere, scrivere, far di conto e a conoscere il latino, perché in famiglia si parla genovese. Per battere la concorrenza di qualche maestro particolarmente qualificato e richiesto che sottrae allievi agli altri capita persino che “i colleghi si tassino – dice Giustina Olgiati – offrendogli il guadagno di un anno purché lasci la Liguria”.

Restano invece a Genova le comunità di popoli e fedi diverse perché la città, sullo sfondo di eventi grandi e spesso drammatici, dagli scontri fra Impero e Comuni alla battaglia della Meloria, dalla caduta di Costantinopoli alla Reconquista cattolica in Spagna, mantiene la sua apertura. A Genova vivono anche ebrei, che hanno qui comunità e sinagoga dal tardo impero romano, saraceni, armeni, greci. Sono presenze costanti, anche se non sempre organizzate nelle comunità con un console e gli stessi diritti dei genovesi sono riconosciuti agli stranieri - veneziani, catalani, ebrei, greci, turchi, tartari - negli atti pubblici di Caffa, Chio, Pera e Famagosta.

A Genova il governo mantiene lo stesso rapporto di convivenza con le minoranze religiose e di fronte alle imposizioni di poteri esterni arriva a negarne l’esistenza: “Nel 1460, dinanzi alla richiesta di papa Pio II di finanziare una crociata contro i turchi anche imponendo tasse sugli ebrei, il governo risponde che i genovesi sono troppo poveri per contribuire e che non ci sono ebrei residenti in città” (Giustina Olgiati, Abitanti di fedi diverse in Genova porta del mondo –la città medievale e i suoi habitatores, pubblicato nel 2011 per l’omonima mostra all’Archivio di Stato). Anche dopo la diaspora degli ebrei sefarditi espulsi dalla Spagna con il decreto reale del 1492 Genova resta tollerante, malgrado i provvedimenti contro di loro voluti dal governatore francese Filippo di Clèves: quello del 1501 che obbligava gli ebrei a portare un segno giallo sugli abiti, antico e sinistro precursore degli orrori nazisti, è infatti ben poco osservato e quello del 1505 che ordina l’espulsione degli ebrei, pena la riduzione in schiavitù, viene disatteso con salvacondotti e permessi di soggiorno.

Per Genova il rapporto è dinamico e realistico anche con il mondo islamico. “La crociata di Almeria e Tortosa, anche se vinta si rivelò un tale disastro finanziario – dice Giustina Olgiati – che da quel momento Genova decise di procedere diversamente, dando sempre maggior risalto e peso alle trattative diplomatiche. Ne è esempio concreto la pace del 1149 con il ‘Re Lupo’, l’emiro di Valencia e Murcia in cui Genova s’impegnò a non portare più guerra nel regno islamico spagnolo in cambio della possibilità di far prosperare quartieri commerciali genovesi in quei territori.”

Lungimiranza, apertura, concretezza e tolleranza sono da sempre fondamenti di quella che l’Anonimo Genovese definisce “la città più bella del mondo”. Multiforme sin dal ‘200, pulsante di vita in tutte le strade, piene di persone. Come potrebbe la Genova di oggi dimenticarlo e non rispecchiare ciò che è stata per tanti secoli?

L'Archivio di Stato di Genova si trova in piazza Santa Maria in Via Lata, 7, telefono: 010 537561

Nelle immagini dal basso

Genova nel 1481 (Cristoforo Grassi), Galata Museo delMare.

Paradiso (Ludovico Brea, 1513, part. Museo di S.Maria di Castello).

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