L'INDIFFERENZA CHE APRE NUOVI LAGER


testo di Stefano Villa
Le dita dell’uno sulla tastiera del pianoforte, quelle dell’altro sull’archetto del violino a lenire con la musica umanità martoriate, con un vero concerto in una stanza. “Uno dei ricordi più intensi della mia infanzia – dice Miryam Kraus – è proprio questo, alla metà degli anni Cinquanta. Un giorno a casa vennero due uomini, ridotti male, mio padre cercò un albergo per ospitarli e poi li portò a cena da noi. Erano denutriti, faticavano a mangiare e ho pensato che fossero malati. Dopo cena si sono messi a suonare, alternandosi con mamma e papà ed è stato un concerto indimenticabile”. Chi fossero quegli uomini Miryam Kraus, vicepresidente a Genova dell’ANED, l’associazione degli ex deportati nei campi nazisti e già vicepresidente della Comunità Ebraica cittadina, non lo ha mai saputo con certezza, perché suo padre quando glielo chiese “rispose che erano stati in una terribile prigione anche se non avevano fatto nulla di male, durante la guerra, poi tornati a casa avevano dovuto di nuovo scappare”
I due musicisti ebrei probabilmente erano sfuggiti a rigurgiti d’odio antisemita, non estirpati in Europa dalla fine del nazismo: “Nella Polonia del dopoguerra, per esempio avvennero alcuni pogrom … il più grande dei quali ebbe luogo a Kielce, nel 1946, quando i manifestanti polacchi uccisero almeno 42 Ebrei e ne picchiarono molti altri” (United States Holocaust Memorial Museum)’
I genitori di Miryam, Egon Kraus e Vera Ryvka, nel dopoguerra aiutarono gli Ebrei perseguitati o in difficoltà a trasferirsi nel nascente Stato di Israele. Partecipavano alle associazioni che proseguivano l’attività della Delasem ebraica, sostenuta a Genova durante il nazifascismo anche dal cardinale Boetto. Miryam Kraus per molti anni, però, ha saputo pochissimo della propria famiglia e dei suoi personali ‘sommersi e salvati’. “I miei genitori sulla Shoah hanno mantenuto il silenzio con me e mia sorella. Un silenzio protettivo verso di noi per non farci conoscere quel dolore e anche il silenzio del pudore verso le sofferenze dei miei cari impediva a me di chiedere”.
Da quei silenzi è nata la sua esigenza di conoscere la storia della propria famiglia e Miryam ne ha ricostruita molta parte dalle parole di uno zio, i racconti di un cugino e le fotografie recuperate da un’amica della madre, senza smettere di cercare. Su ciò che accadde in Europa prima e durante la Shoah ha intervistato trenta sopravvissuti per il portale Ti racconto la storia: voci dalla Shoah che dà accesso (registrandosi e accreditandosi su http://www.shoah.acs.beniculturali.it) a tutte le video testimonianze in italiano nell’archivio mondiale dello Shoah Foundation Institute fondato da Steven Spielberg e inserito nelle strutture della University of Southern California.
La madre di Miryam, Vera, nata a Nova Gradiska in Slavonia nel 1916, era figlia di Jakob Mandl ed Helena Sommer. Jakob, morto giovane, aveva combattuto la Prima Guerra Mondiale nell’esercito austro-ungarico, reso cieco al fronte dai veleni dei gas bellici. Vera aveva tre fratelli: Karoj (poi traslato nell’ebraico Haim) emigrò in Palestina nel 1933, Herman che sopravvisse alla Shoah con il figlio, ma perse la moglie Zora a Jasenovac, il campo di sterminio degli Ustascia croati sulle rive della Sava, e Otto, il più piccolo, fucilato dagli Ustascia perché membro della Resistenza. A Jasenovac detto l’Auschwitz dei Balcani dove furono annientati 13 mila Ebrei, morì anche la nonna Helena con altri familiari.
Il nonno paterno di Miryam, Emil Krausz era nato a Bizovac in Bosnia-Erzegovina nel 1879, la nonna invece era Emilija Rosenberg. “Una famiglia molto agiata, con fabbriche, grandi proprietà agricole e allevamenti che fornivano anche i cavalli per la corte asburgica e viveva nella cittadina di Osijek”. I Krausz ebbero tre figli.
La famiglia dopo il ritorno dei figli maggiori che studiavano a Vienna e Parigi si trasferì a Belgrado.
Con l’occupazione nazista e le leggi razziali antisemite i fratelli Krausz furono costretti a portare la striscia gialla al braccio con la stella di Davide e come tutti gli Ebrei di Belgrado al lavoro forzato.
Il padre di Miryam, i fratelli e un cugino fuggirono il 18 ottobre 1941 e dopo molte vicissitudi ni raggiunsero le zone occupate dagli italiani che li internarono a Castellamonte, vicino a Ivrea dove nel 1942 li raggiunse il padre, dopo la morte della moglie.
I genitori di Miryam si incontrarono sulla nave da Spalato a Trieste. Vera Rivka, sposata giovanissima “con un matrimonio combinato e non felice” era con il primo marito e il loro bambino, mentre Egon Kraus viaggiava con i fratelli.Vera ed Egon iniziarono a frequentarsi di nascosto a Castellamonte, poi nella fuga in Svizzera del 4 ottobre 1943 furono mandati in località diverse. Nel 1947 Vera divorziò, sposò Egon e vissero a Milano dove nel 1948 è nata Miryam e nel 1949 la sorella Livya. Entrambi i genitori sono morti giovani. La famiglia paterna del marito di Miryam, Renato Shlomo Blum, era originaria dell’Est europeo e il bisnonno Dov proveniva dall’Ucraina.
Renato e Miryam arrivarono a Genova nel 1974 da Milano con la piccola Micol Vera.
Il silenzio sulla Shoah ha congelato l’esistenza dei sopravvissuti, per tanto tempo e moltissime ragioni: il pudore e l’estremo riserbo per le sofferenze subite e vedute, l’atrocità di tornare con la mente a quegli orrori, il timore di non essere creduti, la sfiducia nei rapporti umani dopo l’abissale disumanità dei lager. E poi come raccontare l’indicibile? A un certo punto, però, hanno ricominciato a parlare. “Forse pensando – dice Miryam Kraus – che non avrebbero potuto andarsene tacendo, senza dar voce a tutte le vittime dei lager nazisti, anche le migliaia e migliaia di persone delle quali non è rimasto neanche il nome. Dopo il gelo su quei ricordi terribili, il loro raccontare con gli occhi, il corpo e soprattutto il cuore, ha fatto rivivere la memoria in modo unico e indimenticabile”.
Il mondo si sta di nuovo addormentando davanti ai nuovi germi del razzismo?
La memoria di sei milioni di Ebrei e cinque milioni di oppositori politici e partigiani, prigionieri di guerra, omosessuali, Rom e Sinti, disabili perseguitati, disumanizzati e annientati nei lager nazisti dovrebbe aiutarci a respingere e combattere i veleni che hanno devastato il ‘900. Eppure oggi i loro germi diffondono nuovo razzismo, xenofobie e fanatismi, alimentando paure e odio anziché risposte di solidale e consapevole umanità davanti ai nodi, impellenti e complessi, delle migrazioni di uomini, donne e bambini dall’Africa e dall’Asia in cerca di salvezza da guerre, massacri, persecuzioni, carestie e miserie insostenibili. “Nella Shoah –dice Miryam Kraus - è stata terribile anche l’indifferenza, coloro che soffrivano l’indicibile non vivevano nei pensieri del mondo civile che li aveva abbandonati. La coscienza del mondo si era tragicamente addormentata e sta accadendo ancora, se di fronte ai drammi di milioni di profughi, alle morti in mare o nei deserti restiamo prigionieri dell’indifferenza anziché misurare la nostra umanità”.
Miryam Kraus combatte l’indifferenza accompagnando ogni anno ragazzi e ragazze nei lager di Auschwitz, Mauthausen e altri campi nazisti con Aned, Comunità Ebraica, istituzioni. Come fa, a novant’anni con l’energia di un ragazzo, Gilberto Salmoni, presidente Aned di Genova, ex deportato
a Buchenwald con il fratello e che ha perduto i genitori e la sorella ad Auschwitz. “Vedere con i propri occhi, la mente e il cuore rende i ragazzi più consapevoli anche davanti ai razzismi e alle xenofobie del presente, sono loro le sentinelle della nostra memoria e della nostra umanità”.
L'Aned, associazione nazionale ex deportati ha la sede ligure in via Fabrizi a Genova tel. 010/2513668e-mail: anedgenova@virgilio.itPresidente: Gilberto Salmoni
Nella foto Egon e Vera genitori di Miryam
L'altra foto è di Alessandro Guerra quando da studente di liceo ha visitato i campi di concentramento