PER LA SALUTE DELLE DONNE REDUCI DALLA GUERRA


testo di Stefano Villa
Per realizzarla c’è voluta la stessa incrollabile energia di Alija Sirotanovic, il minatore jugoslavo che a Zenica estrasse in un solo turno con i suoi compagni 152 tonnellate di carbone, battendo il record mondiale dell’eroe sovietico Aleksej Stachanov.
La cooperazione internazionale sviluppata nel cantone bosniaco di Zenica – Doboj per prevenire e curare i tumori, in primo luogo delle donne, ha infatti unito ogni energia, risorsa, competenza in un ponte solidale fra il Piemonte e la Bosnia per aiutare la rinascita del sistema sanitario e tutelare la salute in un Paese straziato dalla guerra dei Balcani. Oggi a Zenica, maggiore città del Cantone, il Polo Oncologico ha reparti avanzati di oncologia medica, anatomia patologica, radioterapia ed è funzionalmente collegato alla Rete Oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta, compresa la formazione dei medici, tecnici e infermieri e la condivisione dei dati. È stato un viaggio con molte tappe, ripercorse nel coinvolgente libro-racconto Tra il bene e il male (La Bosnia, il dopoguerra, la battaglia contro tumori e inquinamento a Zenica) curato da Alessia Canzian, con prefazione di Lidia Menapace, realizzato da RE.TE. ONG, partner e gestore del progetto.
“Abbiamo voluto dar voce ai nostri dieci anni a Zenica – dice Cinzia Messineo, presidente di RE.TE ONG – perché sono l’esempio di come attraverso lo sforzo comune delle istituzioni e del volontariato si possano sviluppare forme positive di cooperazione, passando da interventi di emergenza post-bellica alla creazione di strutture sanitarie all’avanguardia.” Tutto inizia in un piccolo centro minerario vicino a Sarajevo, Breza nel Cantone di Zenica-Doboj. La guerra dei Balcani (1992-1995) chiude la miniera di carbone dove lavora un migliaio di persone e con la disoccupazione altissima e la crisi economica nessuno si prende piu cura della propria salute. Nel 1997 sulle necessità di Breza si tiene un tavolo di lavoro con istituzini e società civile cui partecipa anche Margherita Granero dell’associazione Almaterra per i diritti e la tutela delle donne.
È lei a lanciare l’idea di un Centro di aggregazione per le donne di Breza e il loro diritto alla salute, dalla natalità alla gravidanza, alla prevenzione in collaborazione fra i Comuni di Torino e Breza, Almaterra, Ong locali e la Dom Zdravja (la nostra Asl). Nasce il progetto Breza Vedra per lo screening dei tumori del collo dell’utero e del seno ispirato al programma Prevenzione Serena della Regione Piemonte realizzato con l’impegno di tante donne come la dottoressa Gioia Montanari e la giovane epidemiologa Livia Giordano. E di donne protagoniste in questo racconto ce ne sono tante. Come Silvana Appiano, allora referente per i servizi oncologici dell’assessorato alla Sanità piemontese, che rivolgendosi alla Compagnia di San Paolo, con le garanzie della Regione, riesce a ottenere i fondi per lo screening di Breza.
La campagna rivolta alle donne dai 25 ai 65 anni diagnostica purtroppo un numero altissimo di tumori perché dopo la guerra non erano più stati fatti controlli. Serve dunque anche un polo oncologico per garantire cure per le donne ma anche per tutti i pazienti con tumori del Cantone di Zenica-Doboj, dove anche la situazione ambientale è drammatica. In Jugoslavia quasi tutto quello che si costruiva veniva da Zenica che negli anni ’80 aveva 140.000 abitanti e 24.000 lavoravano nell’acciaieria. “Era la città degli operai – si scrive nella postfazione del libro – dove la gente insieme viveva, lavorava e studiava”.
La guerra dei Balcani cambia tutto. A Zenica, in quegli anni uno dei pochi posti sicuri per i bosniaci-musulmani vittime della pulizia etnica, si rifugiano migliaia di invalidi di guerra e donne vittime di stupri. E anche se con le acciaierie e gli altiforni chiusi se ne vanno trentamila abitanti, operai, professori, specialisti, ingegneri, medici, il destino di Zenica è inseparabile dalla ferriera che per 150 anni “ha dato la vita, ma l’ha anche tolta” perché è stata la principale fonte di inquinamento. Dopo la guerra la produzione d’acciaio si riavvia in parte, poi c’è la privatizzazione che per la scrittrice Azra Nuhefendić “come la ruggine ha distrutto quello che anni d’inattività non avevano finito. Oggi la ferriera appartiene a una multinazionale indiana e ci lavorano solo duemila persone, un decimo rispetto a una volta. L’inquinamento in città è peggiorato”. Se a Zenica serve un profondo risanamento ambientale, ai tanti ammalati di tumori servono al più presto strutture sanitarie adeguate. Per realizzarle si uniscono Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Regione Piemonte (che con un gemellaggio aveva già sostenuto a Zenica la ristrutturazione della chirurgia plastica per le vittime delle mine e altre azioni di cooperazione internazionale), Centro di Prevenzione Oncologica del Piemonte e dopo il ritiro di Almaterra subentra RE.TE. ONG con esperienza consolidata di gestione organizzativa e finanziaria e progetti sociali e occupazionali a Breza.
La formazione, di cui è responsabile scientifico il dottor Libero Ciuffreda, primario di Oncologia della Città della Salute e delle Scienze di Torino, coadiuvato anche dalla caposala Silvia Storto, porta prima i medici e infermieri bosniaci a Torino, poi i professionisti italiani a Zenica. A maggio 2008 il nuovo Polo Oncologico è pronto e rispecchia il modello della Rete Oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta “proposto e non imposto” anche grazie alla mediazione di RE.TE.ONG e dell’Antenna del Piemonte. Ricorda il dottor Ciuffreda "Nell'occasione ci fu un convegno che per la prima volta riunì di nuovo medici bosniaci, serbi e croati.” Con l’apertura del reparto oncologico gli ammalati di tumori del Cantone bosniaco non sono più costretti a trasferirsi in altre città o all’estero. Servono però altri due interventi: modernizzare l’anatomia patologica “perché altrimenti un’oncologia non può esistere - spiegano i medici torinesi – oggi c’è molta attività di biologia molecolare e di reazioni istochimiche e i nuovi farmaci sono sempre più spesso legati a caratteristiche genetiche e molecolari” e un reparto di Radioterapia. A Zenica si ristruttura così l’anatomia patologica e poi con i fondi della Compagnia di San Paolo arriva anche la nuova Radioterapia. Questa branca complessa della medicina, che opera in equipe, fa penetrare nell’organo ammalato un fascio di protoni che danneggia il patrimonio genetico delle cellule tumorali che, colpite a ripetizione, si disintegrano. Per il nuovo reparto lavorano insieme Regione Piemonte, Azienda ospedaliera universitaria San Giovanni Battista (poi confluita nella Città della Salute e delle Scienze), Università di Torino, Rete Oncologica Piemonte e Valle d’Aosta e RE.TE. ONG. Nel 2009 iniziano i lavori per l’edificio e i due bunker degli acceleratori lineari. Non mancano ostacoli burocratici, ma “gli operai lavoravano giorno e notte – dice l’architetto Gian Paolo Cirnigliaro incaricato del progetto – non hanno mai mollato per arrivare nei tempi stabiliti al risultato finale”. Nel 2011 la struttura è completa, si installa l’acceleratore lineare e inizia la formazione, coordinata dal professor Umberto Ricardi, primario di Radioterapia all’Azienda Sanitaria San Giovanni Battista e direttore della Scuola di Radioterapia dell’Università di Torino, prima dei team bosniaci in Italia, poi di quelli italiani a Zenica e nel 2012 inizia il trattamento dei pazienti.
Le strutture oncologiche a Zenica, compresa la Radioterapia, sono state finanziate con oltre 2,5 milioni di euro: circa 2 dalla Compagnia di San Paolo e gli altri dalla Regione Piemonte e dalla sua Rete Oncologica, dal Ministero degli Affari Esteri, dalla Fondazione CRT per le borse di specializzazione dei medici e e anche il Cantone di Zenica-Doboj . La cooperazione, però, continua Luca Giliberti, capo progetto per RE.TE. ONG ha una nuova sfida: “trovare abbastanza risorse per sviluppare una rete oncologica in tutta la Bosnia, espandendo il modello di Zenica. È fondamentale, curando i tumori, che gli ospedali dialoghino fra loro, condividano standard per i protocolli terapeutici, la prevenzione, lo scambio di dati scientifici”. RE.TE.ONG spera di vincere un bando UE e intanto organizza la prima riunione con altri ospedali bosniaci. Su quanto è già stato realizzato Azra Nuhefendić dice “se con questo progetto avessimo salvato anche una sola vita, il suo scopo sarebbe già stato soddisfacente. Invece parliamo di centinaia e centinaia di donne curate e salvate, oltre a quelle che, grazie a un sistema integrato di osservazione, cura e trattamento, saranno salvate in futuro”.