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BARCA PARTIGIANA A VELA LATINA


testo di Stefano Villa

La vela latina, quattro remi e un “eccezionale prototipo” di motore entrobordo.

Quando il gozzo "I due fratelli" di 7 metri salpa dal porticciolo di Voltri è mezzanotte, fra il 1^ e il 2 novembre 1943. Comincia una traversata molto difficile e pericolosa. Su quella barca, infatti, c’è una missione della Resistenza che vuole portare in salvo un alto ufficiale britannico e aprire i primi contatti operativi fra gli alleati e i movimenti partigiani. Una tappa chiave per dare collegamenti e sostegni concreti alla lotta clandestina contro i nazifascisti e i suoi protagonisti sono tanti. A prepararla c’è l’organizzazione genovese Otto - fondata da Ottorino Balduzzi, primario di neuropsichiatria dell’ospedale San Martino - che per tutto l’inverno 1943-44 sarà il punto di riferimento per i collegamenti con gli alleati delle strutture della Resistenza nel Nord Ovest.

C’è l’intesa con il CLN attraverso figure chiave come i partigiani Pittaluga (Paolo Emilio Taviani) e Trossi (Lino Patri), c’è il sostegno dell’Ansaldo, dei suoi operai e anche dei dirigenti. Come Paolo Reti, l’ingegnere che procura alla Resistenza il motore per il gozzo o Ernesto Manuelli che protegge e favorisce la missione. Ci sono gli uomini a bordo: il comandante Dài, ossia Davide Cardinale, capitano di vascello della Regia Marina, il motorista Paolo Risso e come marinaio uno dei fratelli Conforti, Umberto. L’altro fratello, Giuseppe, e tre operai dell’Ansaldo che hanno partecipato all’operazione, da terra aiutano la partenza. L’equipaggio scorta il colonnello delle forze armate britanniche Gordon Thomas Brown, fuggito da un campo di prigionia tedesco e poi nascosto e protetto dalla Resistenza nella zona di Cabanne, a Rezzoaglio con altri ufficiali e soldati del Regno Unito. Gore porta agli alleati anche un messaggio del CLN.

La destinazione della barca partigiana è la Corsica, dai primi di ottobre in mano agli alleati che a Bastia hanno stabilito una base avanzata della Special Force britannica e dell’O.S.S. (Office of Strategic Service) statunitense, i servizi di intelligence per le offensive antinaziste e le operazioni di infiltrazione di agenti in Italia. Per liberare la Corsica sono stati decisivi anche gli 80.000 militari italiani sull’isola che dopo l’8 settembre combattendo insieme ai partigiani corsi e ai soldati coloniali francesi hanno sconfitto i reparti corazzati tedeschi. Il gozzo partito da Voltri è stato allestito clandestinamente nel cantiere navale Ansaldo sul Cerusa “uno dei sette stabilimenti - ricorda Massimo Bisca, presidente dell’Anpi a Genova e ‘ansaldino’ storico – che aveva Ansaldo da Voltri a Sestri, da Sampierdarena a Campi e Fegino con 36.000 dipendenti totali e fra loro migliaia di donne durante la guerra. Durante la Resistenza fu sempre fortissimo il legame fra il mondo del lavoro e i partigiani, fra lotte sociali e lotta armata contro il nazifascismo”. Il gozzo ha un motore entrobordo studiato e adattato appositamente per quella barca, la vela è tinta di nero, per meglio sfuggire agli avvistamenti delle batterie costiere tedesche e per orientarsi l’equipaggio ha anche una bussola, recuperata dai rottami di uno Spitfire. La navigazione però diventa una piccola Odissea, ripercorsa anche da Paolo Emilio Taviani (Medaglia d’Oro al Valor Militare) nel suo volume Pittaluga racconta - Romanzo di fatti veri (1943-1945).

Per allontanarsi dalla costa in silenzio il gozzo procede solo con la vela che ben presto però si strappa. L’equipaggio non si perde d’animo, cerca di ricucirla con una cima e ci riesce, ma nell’operazione la vela si è ridotta e bisogna integrarla con la pesante coperta del motore. La mattina del 2 novembre è proprio il motore a tradire. Non si avvia, il gozzo deve procedere solo con la spinta del vento per due giorni. Paolo Risso, il motorista, comincia a pensare che l’ansia di far riuscire la missione abbiano forse spinto troppi a mettere mano a quel sofisticato motore entrobordo. Però non si dà per vinto. Prepara delle cartucce con garze imbevute di miscela infiammabile e quando le applica al motore finalmente si sente il rombo dell’accensione.

Non è finita però: quando la barca è ormai in vista di Capo Corso le raffiche del vento la trascinano verso ovest con il rischio di finire a Capraia, in mano ai tedeschi. Con fatica l’equipaggio riesce a invertire la rotta, raggiunge e doppia Capo Corso e il gozzo comincia a bordeggiare la costa occidentale della Corsica. Il mare è calmo, il tempo è buono. Fin troppo, perché quando il vento cessa e la vela non serve si ferma di nuovo “quel dannato motore” scrive Taviani. Paolo Risso ancora una volta lo rianima con la forza della disperazione: riduce la sua camicia a strisce e le imbeve di nafta ottenendo nuove cartucce che riavviano il motore per la spinta finale della traversata. Sono le 17 del 5 novembre quando la spedizione partigiana entra nel porto di Isola Rossa. Dalla partenza di Voltri sono passate 89 ore. Radio Londra può trasmettere il messaggio concordato “Gore l’inverno comincia” per segnalare che la barca con il colonnello britannico è arrivata. Dalla Corsica il capitano Cardinale e Mario Risso vengono poi mandati ad Algeri dove lo Special Force inglese ha la sede centrale per l’addestramento alle operazioni belliche e di sabotaggio. Vi restano qualche settimana, poi tornano in Liguria il 3 dicembre, a bordo di un Mas, motoscafo armato silurante della marina italiana, comandato dal capitano Cosulich. La missione guidata da un ufficiale britannico delle Operazioni Speciali (SOE), il maggiore Andrew Croft, esploratore artico negli anni ’30, fa sbarcare Cardinale e Risso a Riva Trigoso. Con loro c’è anche il radiotelegrafista Silvio De Fiore che pochi giorni dopo potrà aprire il primo collegamento fra la Resistenza dell’Alta Italia e gli alleati con un apparecchio paracadutato dagli Inglesi.

Lo sbarco in Corsica del gozzo della Otto partito da Voltri con il colonnello Gore apre la strada per alimentare la Resistenza anche con i lanci di materiale bellico e rifornimenti per i partigiani in Liguria e nel basso Piemonte. Un ponte aereo fondamentale nella lotta al nazifascismo che restò saldo anche se nella primavera del 1944 le operazioni della Otto vennero soffocate dai tedeschi con una serie di arresti, compreso il 31 marzo quello del fondatore Ottorino Balduzzi con altri patrioti. Il professore partigiano, Medaglia d’Argento al Valor Militare, sopravvisse fortunatamente alla deportazione, mentre un altro membro della Otto, il “padre” del motore di quel gozzo a vela nera, l’ingegner Paolo Reti, non riuscì a vedere l’Italia libera.

Preso di mira dai fascisti dopo l’operazione della barca partigiana, il dirigente Ansaldo si trasferì con la famiglia a Trieste dove da segretario del CLN tenne i contatti con il CLN Alta Italia. I suoi viaggi a Milano insospettirono però i nazifascisti che lo arrestarono nel febbraio 1945 e ai primi di aprile lo fucilarono alla Risiera di San Sabba. Lo ricordano anche le motivazioni con cui è stato insignito alla Memoria della Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Un sentito ringraziamento ad Alessandro Lombardo, consigliere di amministrazione della Fondazione Ansaldo per aver messo a disposizione le fotografie che accompagnano l’articolo

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