VITA DI PRINCE NELLA RIACE GENOVESE

testo di Donata Bonometti
Pensavo ad un passo dell'Iliade uscendo da casa per andare ai funerali di Prince Jerry, giovane nigeriano, in Italia da piu di due anni, ospite della Comunità Migrantes di Genova, morto suicida tra i binari della stazione di Tortona, portando con sè la desolazione atroce per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, della protezione internazionale e per la fine di un riscatto .Ancor piu di un sogno,. Pensavo a quel brano dove Priamo, disfatto dal dolore, narra di Giove che ha sulla soglia due vasi da cui pesca il male e il bene, le fortune e le sventure, e le lancia sulla terra, con maligna indifferenza per la destinazione di quello spargimento.
Pensavo che Prince Jerry ha 25 anni come tanti nostri figli. Il primo è scappato dal suo paese per sfuggire a una setta religiosa che lo minacciava di morte, ha vissuto nei campi di concentramento della Libia, ha raggiunto la Sicilia su un barcone, ha trovato casa e famiglia nel centro di Genova, e alla fine la sua giovane vita, gia segnata però pronta al volo, si è sfracellata cosi. Gli altri vivono in famiglie mediamente agiate e serene, non sono braccati da sette o miseria, e le terre che raggiungono sono di svago o di studio, non fuggendo disperatamente da altre. Prince, laureato in chimica, lavorava allo staccapanni, la raccolta di abiti usati e si rammaricava del fatto che la sua laurea in chimica non avesse nessun valore in Italia e per questo obiettivo combatteva...I nostri figli di quella stessa età sono a pochi mesi dalla fine degli studi, stanno laureandosi, già progettano la loro professione, non esclusa magari un esperienza di ricerca all'estero. Ed è solo una strada di riconoscimenti.
Cosi pensando a Giove, mi sono trovata avvolta dalla folla ai funerali solenni di Prince in una chiesa, l'Annunziata in centro a Genova, che è il segno dell'opulenza degli artisti seicenteschi genovesi, ma a Natale si fa umile per accogliere i senza tetto, centinaia, per il pranzo offerto dalla Comunità di Sant'Egidio. E Prince era a sua volta un volontario di Sant'Egidio, cui, fra l'altro, aveva destinato mesi fa i pochi soldi guadagnati per sostenere le vacanze dei bambini che Sant'Egidio organizza.
"Tutti ci sentiamo, una volta o più nella nostra vita, stranieri" ha detto nell'omelia don Giacomo Martino responsabile dei Migrantes per la Diocesi e del centro che ospitava Prince, e colui che ha riconosciuto il cadavere. "Tutti ci siamo sentiti stranieri tra gli amici che non ti cercano piu, in un posto di lavoro che non ti valorizza, persino in un coro che ti allontana perchè sei un po stonato..."come dire: attenti all'esclusione, non è solo di un fenomeno migratorio, è della vita stessa. Tutti stranieri, nessuno straniero.
Comunque in questo blog in cui parliamo di buone pratiche e di volontariato ringraziamo allora Prince Jerry per esserlo stato e con lui molti stranieri che, frequentando la Casa dei Migrantes a Coronata a Genova Coronata, lavorano, studiano e fanno volontariato. Aiutano a tenere pulite le strade del quartiere, si curano della terra per riportare all'onore delle tavole la vite che produce la bianchetta, mitico e storico vinello genovese. Coltivano le fasce abbandonate che ritornano orti generosi.
Tutto ciò avviene in questo campus dei migranti là dove una volta si progettava la moschea. Qui si tengono lezioni di italiano, con materie obbligatorie, ad opera di volontari ed educatori anche della Scuola di Sant'Egidio. Ma si organizzano anche corsi di sartoria, edilizia, agraria, fotografia e musica. Un progetto di formazione, e quindi di integrazione, di decine e decine di migranti, interamente finanziato dalla Curia, con l'intervento delle cooperativa Un'Altra Storia. In campo borse lavoro. Tutto finalizzato a una attuazione vera dell'accoglienza, per togliere gli stranieri dalla strada dell'elemosina e dello sfruttamento. Investire in cultura e formazione professionale , è il ragionamento di Don Giacomo Martino, e queste classi che stanno funzionando molto bene sono diventate oggetto di open day dove si è potuto apprezzare un lavoro cosi di alto livello. Aprendo al pubblico la falegnameria, la sartoria, il servizio di sala e di informatica, l'orto, il vigneto. C'erano quasi mille persone all'ultimo open day e chi c'era ha colto perfettamente il concetto di integrazione. Non stranieri che bighellonano inseguendoti per le strade, non stranieri spremuti e sfruttati in un nuovo schiavismo del terzo millennio. Persone che si formano per lavorare o gia lavorano anche per il quartiere che li ospita. Punto. Riace non è molto lontano da qui.
Tempo fa don Giacomo raccontava ad un giornale cittadino il desiderio di rafforzare questo intreccio tra il quartiere e i suoi ragazzi inserendo il loro aiuto e la loro presenza nella vicina casa di riposo per anziani e parlava di creare un polo sociale, per aiutare le persone più svantaggiate anche attraverso l'opera dei suoi ragazzi. «Vorremmo dare vita a un servizio diurno per giovani con handicap e per anziani — raccontava don Giacomo — così che i migranti, ovviamente affiancati da operatori professionali, imparino ad assistere gli anziani. Perché nessuno è così povero da non avere qualcosa da dare». Le foto dell'ultimo Natale nell ospizio pubblicate sul sito di Sant'Egidio ci confermano che questa osmosi di giovani e vecchi, gente dalla pelle bianca gente dalla pelle nera, è perfettamente riuscita.
Il campus Migrantes si trova in via Coronata 98 a Genova.
La fotografia del lavoro nell'orto è tratta dalla pagina facebook