BIMBI IN VIAGGIO SUL TRENO DELLA FELICITA'

testo di Gianni Avallone
Arrivarono dal Sud accolti dalle famiglie del Nord, anche in Liguria, nell'Imperiese. Bambini che avevano bisogno di tutto ma i genitori non avevano piu niente....Mi sembra di dover raccontare una favola, tipo “Il pifferaio magico”, perché anche in questa storia protagonisti sono bambini… tanti bambini… settantamila. Un numero enorme. Se uno decidesse di contare ad alta voce da uno a settantamila ci impiegherebbe più o meno 30 ore e molto di più se dovesse leggere i nomi e cognomi dei bimbi coinvolti in questa storia. Che comincia nel 1945, storia magica come la solidarietà delle famiglie che hanno accolto temporaneamente i bambini per sottrarli alle malattie, alla fame, al degrado fisico e morale. Magica come l’accoglienza, malgrado la differenza dei dialetti, delle diverse abitudini, del diverso ambiente sociale e culturale. In questa storia anche le famiglie che decisero di prendere con sè i bambini sono attori di primo piano. In Lombardia, in Emilia Romagna , in Liguria, in Toscana, nelle Marche, in Veneto. Famiglie di contadini, di operai, di impiegati, che non avevano un alto reddito, eppure ebbero il coraggio di prendere con sè bambini sconosciuti,....qualche altro posto a tavola, un altro letto in camera. E con loro, le famiglie che si resero conto di non poter dare, nell’ immediato, assistenza ai figli e come atto d’amore, verso di loro, decisero di affidarli a chi avrebbe dato loro da mangiare, da vestire e, non ultimo un’istruzione diversa da quella che avrebbero potuto ricevere, in una situazione di estrema povertà, in una città disastrata.
"Io penso a mia mamma Antonietta. La sera nel letto le azzeccavo i piedi freddi sulla coscia. E subito arrivava l’allucco: <Che, mi hai pigliato per il braciere tuo? Leva subito questi pezzi di baccalà!> Però poi mi acchiappava i piedi e me li scaldava con le mani, dito per dito. E mi addormentavo, con le dita dei piedi miei in mezzo alle dita delle mani sue. " (Il treno dei bambini., p. 51) Eccola una delle madri che accettò la separazione dal figlio per migliorarne la vita...
Non so se oggi, in Italia, la stessa voglia di aiutare i più deboli, di offrire affetto, assistenza potrebbe realizzarsi. Mi sembra difficile immaginare la replica di quello che avvenne nell’immediato dopoguerra. In un paese, quello odierno, dove la cultura sociale dominante è di esclusione, muri di separazione, paura degli altri. Chissà. Forse il dramma del dopo guerra, la difficoltà delle istituzioni a gestire l' emergenza, la difficoltà della Chiesa a sostenere economicamente tutti i bambini in carenza di sopravvivenza, anche forse l’assenza di strumenti che hanno trasformato la società portandola ad essere più individualizzata e meno attenta ai drammi umani, hanno indotto tante persone, non solo fra gli aderenti al Partito Comunista, che aveva lanciato l’iniziativa, ad accogliere bambini poveri. Nel libro “Vivere per raccontarlo” Gabriel Garcia Marquez scrive: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.” E questo racconto deve permetterci di ricordare che un altro modo di essere umani esiste e ricordare il gesto di quelle famiglie che accolsero i bambini fino a quando i genitori non avevano trovato un equilibrio economico e sociale e fino a quando nelle loro città era possibile sopravvivere, fino a quando le istituzioni pubbliche hanno avuto la possibilità di intervenire direttamente per risolvere i problemi che la guerra aveva comportato. In questo racconto mancano ancora dei personaggi. Cioè coloro che organizzarono questa emigrazione temporanea. Da Napoli partirono diciottomila bambini con i treni messi a disposizione dallo Stato. Già era un'impresa convincere le madri che i comunisti non mangiavano i bambini, né facevano quanto riporta una donna che aveva vissuto questa esperienza: “Ricordo che al treno, quando partimmo, qualcuno gridava: “i comuniste ve tagliene e mane, ve tagliene e piere e ve mettene u velene int’o latte”
Fu un'impresa anche l’identificazione dei bambini, l’assistenza nel viaggio, che poteva anche durare 72 ore, in modo che non succedesse niente fino alla destinazione. I treni, e qui mi sembra ancora di entrare in una favola, erano chiamati “I treni della felicità”. In più c’era da rassicurare i parenti che tutto procedeva bene per poi, alla fine del periodo di affidamento, organizzare il ritorno a casa.Che cosa provarono i bambini quando dovettero abbandonare la loro città, la loro famiglia, il loro ambiente? Forse per loro fu vivere in un sogno in cui la certezza di una nuova vita aveva la preminenza sugli affetti, sulle abitudini che lasciavano. Forse. Il treno, che la maggior parte sapeva appena cosa fosse, il lungo viaggio con i paesaggi che si rincorrevano quasi senza fine, la folla alla partenza, certo triste, e all’ arrivo festante, la conoscenza dei nuovi genitori, i modi per superare le barriere linguistiche, la corsa nei negozi per i vestiti adatti al clima del nord, questo e altro che capitava tutto in rapida successione sicuramente aveva confuso favola e realtà. La storia è riemersa nel 2016 con il documentario di Alessandro Piva: “La pasta nera” (è disponibile su You tube). il libro pubblicato dagli Editori Riuniti di Giulia Buffardi “ Il Comitati per la salvezza dei bambini di Napoli”. Infine il
romanzo di Viola Ardone: “Il treno dei bimbi”, pubblicato da Einaudi nel 2019,
una storia sviluppata in base ai ricordi di chi ha vissuto quell’esperienza, è diventato un bestseller.
Infine un occasione genovese.
Dal 15 febbraio nello Studio Agrumi di via San Siro 2 interno 1 fino al 20 marzo un evento correlato a questa vicenda che si intitola "Tre in Tutto Isabella Labate in Mostra", illustrazioni tratte da un albo per ragazzi scritto da Davide Cali sulla storia del treno dei bambini. Qui sopra riportiamo una delle illustrazioni dell'artista ligure. L'ingresso è gratuito, giovedi venerdi e sabato dalle 16 alle 18,30. Una occasione per conoscere Agrumi Studio, luogo creativo, con un calendario ricco di laboratori, eventi, incontri.