EMILIA, OFELIA E LE ALTRE. IL CO-HOUSING TERZA ETA'

testo di Mario Calbi per "Oltre il Giardino" Circolo di Studi sul Lavoro Sociale
Fra i luoghi in cui il contagio ha colpito di più e peggio, ricordiamolo, ci sono stati gli istituti per anziani. Le cause sono note e negli ultimi tempi si parla anche di attuare dei rimedi, ma chi è morto è morto. Ora tuttavia si dice che verranno messi a disposizione finanziamenti che finora erano mancati e si fa assolutamente necessario cambiare il modo di assistere le persone anziane e non autosufficienti. Cittadini e amministrazioni pubbliche hanno memorie straordinariamente corte o forse hanno avuto interesse a favorire le soluzioni che si sono poi rivelate disastrose nel caso della pandemia. Memoria corta perché negli anni ‘70/’80 si è sviluppata proprio a Genova e più che altrove una lotta lunga e dura e piena di ragioni e idee contro il ricorso al ricovero per le persone di cui parliamo. Il punto di partenza era l’anacronismo e l’inefficienza di istituzioni come l’Albergo dei Poveri, la Doria, il Paverano, Coronata e altri. Ma alla radice c’era la consapevolezza che il ricovero in sé era sbagliato. Perchè? Per tre ragioni tuttora valide. In primo luogo allontanava la persona da casa e dal quartiere in cui aveva amicizie e supporti. Non ci vuole molto a capire la profondità della ferita. Mettetevi nei loro panni. In secondo luogo l’ambiente nuovo, oltre che disorientante era ed è organizzato su modelli – alberghiero, ospedaliero, quando va bene – che rendono molto difficile creare nuovi rapporti significativi tra gli ospiti e con il personale. Ovviamente, rapporti esistono e sono importanti, ma , salvo eccezioni sono funzionali, molto parziali e poveri di affetti.
Infine. Queste strutture, per avere le caratteristiche necessarie a un buon servizio – qualità del personale, degli ambienti, delle cure dei vari generi- costerebbero molto, ed oggi si vuole spendere poco. Tutti vogliono spendere poco: i redditi degli assistiti e delle loro famiglie sono e sarebbero insufficienti, le istituzioni pubbliche – i Comuni – non hanno soldi, i gestori dei ricoveri non vogliono/ non possono erogare stipendi adeguati all’alta specializzazione che sarebbe richiesta agli operatori. Le lotte del passato avevano seguito la strada giusta. Quella di tenere a casa propria la persona da assistere, ma con tutto il supporto necessario, medico, sociale, economico, creando non ricoveri ma case assistite, con l’assistenza domiciliare, con la spedalizzazione a domicilio, con la domotica, il cohousing, ed altro. I ricoveri avrebbero dovuto essere gradualmente chiusi e le risorse progressivamente liberate per sviluppare i servizi del territorio.
A Genova si cominciò a farlo su tutti e due i fronti, fino agli anni ‘90 e anche dopo. Per le persone che non era proprio possibile tenere a casa con l’assistenza domiciliare di medici assistenti sociali infermieri fisioterapisti etc, presente in ogni quartiere si aprirono micro comunità alloggio di 5/6 posti e un piccolo istituto di quartiere a S.Teodoro. I risultati furono straordinari: grande soddisfazione di anziani e famiglie, spese più basse di quelle sostenute per ricoveri, grande competenza del personale di assistenza, coinvolgimento dei quartieri.
Poi negli anni ‘90 è girato il vento della politica e dell’economia e si è riaperta la porta al privato che deve fare profitto e a casa allo sfruttamento delle cosiddette badanti e al ricorso al reddito familiare: il trionfo di un mercato nero o difficile dal regolare e controllare, il disinteresse e l’incompetenza delle istituzioni pubbliche. Ci sono stati tentativi anche all’inizio degli anni 2000 di affrontare correttamente la questione, ma la strada sbagliata ha ripreso inesorabilmente il suo corso, un passo alla volta con Regioni come la Lombardia a camminare prima e più delle altre . Ora si vedono i risultati! Dunque, per amore dei nostri anziani, di noi stessi torniamo a fare le cose giuste, chi si occupa e si occuperà della sanità e dell’assistenza in Regione e in Comune riprenda in mano le soluzioni che avevano dato ottimi risultati, e spenda denaro necessario perché non siano le anticamere della fine della vita, prive di senso di vivere per chi vi viene rinchiuso, o in luoghi di morte come i è visto in tempi di covid.
Fin qui la riflessione di Mario Calbi, negli anni 80 assessore ai Servizi Sociali del Comune di Genova che diede il via a questa nuova visione dell'assistenza alla terza età. Progetto si è detto che poi ha subito un arresto. Tuttavia si deve alla Comunità di Sant Egidio una sorta di continuità perchè alcune micro comunita sono state create e funzionano egregiamente a favore degli anziani e delle loro famiglie. Se non ricordo male la prima a Genova è stata aperta in via Caffaro circa 15 anni fa....
Laura Lanciotti, cento anni compiuti da poco, è stata una delle pioniere del modello di coabitazione versione “senior”. Oggi vive in un appartamento insieme ad altri 5 anziani e due badanti. E' stata lei 6 anni fa a lasciare la Rsa che la ospitava e dove si stava spegnendo, sono stati i volontari di Sant'Egidio, in questo caso di Roma,.a elaborare insieme a lei una sorta di modello assistenziale scandito dalla convivenza con altre persone con le stesse esigenze socio sanitarie, intrecciando nuove relazioni significative e riempendo di nuovo la sua vita di emozioni e di colore..L’esperimento, uno dei primi di cohousing senior sta funzionando ( ecco nella foto una delle micro comunita per la terza età gestita da Sant'Egidio)
Gli appartamenti sociali per anziani sono oramai realtà consolidata in molte regioni, dalla Lombardia alla Emilia , dal Lazio al Veneto al Piemonte. non in Liguria. A Padova Emilia Ofelia e una terza amica sono andate ad abitare in un unico appartamento e il loro progetto di una vita non piu solitaria e pure economicamente piu gestibile è stato sostenuto anche in questo caso dalla Comunità di Sant'Egidio. Che come si è detto anche in Liguria, a Genova, cerca di incrementare queste micro comunità. Gli anziani sono il nostro futuro, è il loro motto