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IL VIZIO DI VIVERE, TRENT'ANNI DOPO


testo di Donatella Alfonso

Erano gli occhi, quegli occhi spalancati e sereni, a colpire nel volto di Rosanna Benzi, mentre il polmone d’acciaio

ritmava le sue parole, regolandole il respiro.

Quegli occhi che esprimevano tutto “Il vizio di vivere” , come si intitolava il suo libro – scritto con Saverio Paffumi – che

nel 1984 aveva fatto conoscere ovunque la sua storia. Trent’anni fa, il 4 febbraio del 1991, poco prima di

compiere 43 anni, quegli occhi si chiudevano per sempre, ma il ricordo di Rosanna Benzi è rimasto forte, nei genovesi e non solo: anzi, un filo di dialogo, anche se ideale, la tiene legata ai tanti che ogni giorno frequentano la pagina facebook dell’associazione Gli Altri-Rosanna Benzi.

Cercando spesso un conforto nella sua figura, raccontandole i propri dolori e ansie. “Ne arrivano tanti, soprattutto su Messenger – spiega Luciano Seddaiu, presidente dell’associazione Gli Altri - Monica da Palermo scrive: ‘Grazie Rosanna,  il tuo vizio di vivere mi ha fatto e mi fa continuare ad andare avanti’. E Martina da Genova: ‘Come è attuale la tua frase ‘ tutti in un momento della nostra vita possiamo essere gli altri’ soprattutto ora in piena pandemia’ o Marcella da Savona: ‘Grazie Rosanna perché ci hai insegnato anche l amore per le piccole cose,  che spesso possono essere le più importanti’ “.

E l’associazione Gli Altri, che mantiene nel nome la straordinaria esperienza della rivista fondata nel 1976 da Rosanna (attiva fino al 2001), promotrice di grandi campagne di inclusione sociale e di riconoscimento dei diritti dei disabili, consegnerà proprio il 4 febbraio il premio Solidarietà Rosanna Benzi 2020 al professor Franco

Henriquet, anima dell’associazione Gigi Ghirotti e medico di Rosanna. La prima edizione, nel 2019 – con il

riconoscimento assegnato al dottor Flavio Gaggero, dentista solidale, oltre che a 11 associazioni – era rivolta all’ambito

genovese, quella del 2020 alla Liguria e quella del 2021

sarà nazionale.

Rosanna era una ragazzina tredicenne di Morbello, nell’alessandrino quando nel marzo del 1962, la poliomielite – il vaccino non aveva ancora raggiunto tutta la popolazione infantile, e molti bambini e ragazzi ancora si ammalavano – l’aveva colpita in una delle sue forme più gravi, la bulbo-spinale: in poche ore sopravvennero una tetraplegia e una grave insufficienza respiratoria. Solo il polmone d’acciaio, quel lungo tubo in cui avrebbe trascorso i successivi 29 anni – tranne poche uscite pubbliche, da adulta – avrebbe potuto salvarle la vita. Lo chiamava “il

mio scaldabagno”, lei, che nella stanzetta al Pronto Soccorso di San Martino, con libri, pupazzi, colori, da quel

tubo d’acciaio era proiettata fuori, nella sua vita di donna e nella società, e non solo per le tante persone che passavano a trovarla.

In quella stanza, per tutti gli anni ’70 e ‘80 si parla di emarginati, ma anche di politica e sessualità, di teatro, psichiatria, di identità femminile e di barriere. Il tema dei diritti è centrale: quelle esperienze sono l’oggetto di un altro libro. “Girotondo in una stanza” e sono raccolte anche in un video presentato dal 1994 allo scorso anno ad

almeno 20 mila studenti delle superiori genovesi. Che

hanno potuto ascoltare le sue parole: Sono contenta, ho

realizzato ciò che volevo, non amo la malattia, ah potessi

correre e camminare! Non sono mica masochista, ma questi

anni qua dentro sono stati belli, seri... facciamo parte di una scacchiera di cui ognuno è un pezzo che può andare a

scacco matto.

La foto è tratta dall'archivio storico di Publifoto

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