BRERA CI ASPETTA IN PURGATORIO CON IL CALICE IN MANO

testo di Stefano Villa
In Purgatorio perché “troppo imbelle e indolente per esser mandato giù negli inferi e troppo blasfemo e rancoroso per esser mandato su con gli abatini in Paradiso” E' l'incontro con Gianni Brera, vulcanico giornalista sportivo, scrittore arguto e colto con il gusto della tavola, della sacralità dell’osteria, delle amicizie e del fascino femminile. A trent’anni dalla sua scomparsa Genova che l’orgoglioso “padano bassaiolo” amava come i colori rossoblu del Genoa, dedica il monologo teatrale Prosit Arcimatto a Brera con cinque brindisi finali per ricordare il grande cantore dello sport e dell’Italia del dopoguerra e augurare alla città di ritrovare con le prossime festività e il nuovo anno il piacere di stare insieme. Lo spettacolo scritto dal drammaturgo Ivano Malcotti, diretto dal regista Mirco Bonomi del Teatro dell’Ortica e interpretato da Alberto Giusta si terrà lunedi19 dicembre alle 17.30 alla Biblioteca dell’Università, con la partecipazione della So.Crem.
In Purgatorio gli alcolici sono vietati “ti danno un colorante al tamarindo o al mirtillo o se vuoi imitare il bianco una spuma” però Brera è ben contento di trovare il pubblico “con il calice in mano, senza aspettare le lucerne….come direbbe il buon Alceo”. Il modo migliore per incontrarsi e parlare come amici all’osteria, dove ha sempre gustato buon vino e i piatti di una cucina sapiente. “Mangiare e bere bene non è solo un bisogno fisiologico è un bisogno spirituale. Ho la vocazione ad essere cantore delle virtù che arrivano dalla cucina …”. Mangiare di gusto prima di andare a letto aiuta anche a non abbassare la guardia davanti “alla sciura nera, voglio aspettarla con la pancia piena, becco umido e un toscano sul comodino. Non ho paura della morte, non me ne frega niente, se mi chiedono come voglio morire dico dopo una mangiata con gli amici”.
Così è stato, troppo presto, il 19 dicembre 1992 in un incidente d’auto fra Codogno e Casalpusterlengo di ritorno dall’irrinunciabile cena con gli amici. Quando usciva dalla redazione (e ne ha abitate tante, direttore della Gazzetta dello Sport, del Guerin Sportivo, firma prestigiosa al Giorno, al Giornale, a Repubblica) Brera saliva sulla sua 124 che come i cavalli “sapeva benissimo la strada per la stalla, ovvero l’osteria”.
Nella vita terrena di Brera rientrano anche i boss della mala americana. Così nel 1984 scrive a Scalfari direttore della Repubblica che non potrà seguire per il giornale le Olimpiadi di Los Angeles “per motivi di legittima difesa” Nel 1952, giovane freelance in America “ebbi l’ardire di conquistare la pupa del boss e lui non la prese bene…i gangster sono permalosi e non dimenticano nemmeno trent’anni dopo”.
Nell’osteria “…luogo sacro, un confessionale di guai da dimenticare al più presto che si frequenta almeno una volta alla settimana” gli amici “vanno scelti con cura” come l’amato Beppe Viola, brillante giornalista Rai, umorista acuto e sensibile morto a soli 43 anni. “Povero vecchio Pepinoeu! delirava per i cavalli da corsa, ma non ci capiva un c…o; poi dopo una bella tirata da mezzo litro di rosso improvvisava freddure che erano il sale della vita. Aveva un’ironia naturale, coraggiosa, il tutto condito da una fragilità terrificante e la fragilità è pericolosa … fa dire cose sconvenienti”.
Come quelle dette da Brera un giorno a Bartali, considerandolo troppo vecchio per partecipare al Tour de France: “con quelle rughe sembri il nonno dell’ultimo sgangherato gregario, ma i nonni sono più adatti a leggere le favole di Esopo ai nipotini piuttosto che a sudare sul pavè”. Bartali gli fuma in faccia tre Gauloises senza filtro e poi gli chiede “sono ancora vecchio?” Brera che non tiene mai a freno la lingua gli risponde “va a dà via el…! Fai il Tour che ti appoggio”. Bartali, campione e uomo libero antifascista fa ricordare gli anni della Resistenza. Brera, figlio di un sarto e barbiere socialista ha dato il proprio contributo alla lotta partigiana ma in “un percorso accidentato” Nato l’8 settembre 1919, partito sottotenente di fanteria poi arruolato nei parà della Folgore. Affascinato dalla figura del Duce come molti giovani di allora, scrive persino un articolo sul suo giornale, Il Popolo d’Italia, Tre tuffi e tre lanci e sarai paracadutista.. “Questa imperdonabile parentesi è finita quando ho incontrato Attilio Bonacina detto Catilina e sono entrato tra i combattenti della Val d’Ossola nella 83° Brigata Comoli” anche se non è stato facile: “ho subito un processo all’Albergo Terminus per i miei trascorsi fascisti , mi volevano fucilare… mi ha salvato lo scrittore e giornalista Italo Pietra”.
Fra tanti neologismi come Puliciclone sintesi dell’essenza dell’attaccante granata Pulici, Stradivialli per il bomber blucerchiato Vialli cremonese come Stradivari, goleador, melina o manfrina ha coniato anche abatino. Sempre associato a Gianni Rivera, raffinatissimo e controverso fuoriclasse del Milan e della Nazionale il termine era stato ideato prima per altri due sportivi: “il primo Giorgio Albani il ciclista con gli occhialini che sembrava un seminarista, il secondo Livio Berruti, oro alle Olimpiadi di Roma, un efebo che accarezzava la pista”. A Brera piaceva di più Mennea “divino scorfano…e saperlo povero come me in cerca di riscatto mi faceva diventare partigiano senza vergogna”.
Ben poco partigiano invece del terzo abatino, Rivera: “non sa correre e non è un podista, un omarino fragile seppur elegante, così dotato di stile da apparir manierato e qualche volta finto, troppo cattolico per risultarmi simpatico”.
Ha parlato di Padania e razza padana prima di Bossi, “ma in altri termini” perciò invitava “ogni rimbambito che mi definisce leghista a mettersi l’animo in pace”. Comunque trovava simpatico il Senatur “sembrava il tenutario di un casino più che un politico”. Fra i politici apprezzava Pannella, “mi sono candidato nelle liste del Partito Radicale anche se non ho velleità politiche, sono abituato a fare il Fra Galdino che va a cercare le noci casa per casa e cerco i voti cucina per cucina, lo facevo per i socialisti ora lo faccio volentieri per i radicali. Pannella è un enfant terrible, fantasioso come Maradona.”
Amava anche il campionissimo Coppi, suo coetaneo e Brera scriveva del ciclismo con la stessa sapienza del calcio. Scriveva di tutti gli sport, meno il salto con l'asta. “Lo detesto … mi ricorda mio padre, povero cristo che da giovane per la fame rubava frutta e saltava con un palo da filare la cinta di un'ortaglia preziosa”. Un Brera a tutto tondo che saluta invitando a brindare “perché come diceva il vecchio Edmondo De Amicis l’uomo si affaccia volentieri al finestrino rotondo del calice” E allora Prosit